sabato 10 febbraio 2018

La beffa di Buccari, un secolo fa

Il 10 febbraio 1918 tre motoscafi italiani penetrarono le difese marine dell'Impero austroungarico: non fecero danni, ma ottennero qualcos'altro

Cento anni fa c’era la Prima guerra mondiale: l’esercito italiano aveva da poco subito, nel novembre 1917, la sconfitta di Caporetto, che aveva avuto un impatto pesantissimo sulla strategia e il morale delle truppe. Le cose si erano messe molto male e l’Italia aveva bisogno, oltre che di vittorie, anche solo di qualche nuovo simbolo cui aggrapparsi per dimenticare Caporetto. L’occasione giusta capitò con la cosiddetta beffa di Buccari, che avvenne tra il 10 e l’11 febbraio 1918. Non fu né una vittoria né una sconfitta, ma storici e cronache ne parlarono come di “una tra le imprese più audaci” di quella guerra, con una “influenza morale incalcolabile”, nonostante fu “sterile di risultati materiali”.

Tutto iniziò con un’incursione militare della Marina italiana nel porto di Bakar (Buccari, in italiano), nell’attuale Croazia, vicino a Rijeka (Fiume, in italiano). Nella baia di Buccari c’erano alcune navi della marina austroungarica e la marina italiana decise di provare a distruggerle. L’incursione fu fatta da un commando di tre MAS, motoscafi armati siluranti, noti anche come motoscafi anti sommergibili: potevano muoversi agilmente, si facevano notare poco e potevano lanciare siluri. I tre motoscafi partirono dal porto di Ancona, inizialmente rimorchiati da tre torpediniere.

Quattordici ore dopo essere partiti da Ancona, intorno alle dieci di sera del 10 febbraio, le torpediniere si fermarono e andarono avanti solo i motoscafi, al cui comando c’era il capitano di fregata Costanzo Ciano. Insieme a lui c’erano, tra gli altri, il tenente di vascello Luigi Rizzo e l’ufficiale di cavalleria – e poeta – Gabriele D’Annunzio. Nella notte i tre motoscafi entrarono nella base marina austroungarica e provarono a portare a termine il loro compito lanciando dei siluri, dei missili subacquei. Fino a quel momento era andato tutto come previsto, ma lì ci fu un grosso problema: come ha ricordato il sito della Marina militare italiana « i siluri lanciati dalle tre motosiluranti si impigliarono nelle reti a protezione dei piroscafi alla fonda». I motoscafi italiani uscirono quindi dalla base, e dopo aver raggiunto le torpediniere tornarono in Italia. Tutta l’operazione si concluse senza perdite per gli italiani e praticamente senza danni per gli austroungarici.

Prima di andarsene dalla base nemica, D’Annunzio lasciò però in acqua alcune bottiglie con attorno dei nastri tricolori e un messaggio al loro interno:

«In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia, che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre ad osare l’inosabile. E un buon compagno, ben noto, il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro, è venuto con loro a beffarsi della taglia».

Ma, come scrive il sito della Marina, l’incursione mostrò una cosa importante: «le facili smagliature ed il mancato coordinamento del sistema di vigilanza costiero austriaco», una debolezza che poteva essere sfruttata ancora. Inoltre, come ha spiegato alla Stampa l’ammiraglio Valter Girardelli, Capo di stato maggiore della Marina militare italiana, «c’è un nodo fondamentale su cui gli storici si trovano d’accordo: gli Imperi Centrali arrivano alla sconfitta per via del collasso economico degli stessi. E alla base di questa débâcle economica c’è il dominio dei mari da parte dei Paesi dell’Intesa, Italia compresa». La beffa di Buccari mostrò insomma che le difese marine dell’Impero austroungarico poteva essere penetrate in modo relativamente semplice, e che l’Italia poteva ambire a sottrarre il controllo dell’Adriatico.

Tutti e tre i militari coinvolti, poi, fecero strada. Nei mesi successivi alla beffa di Buccari, alcune operazioni militari guidate da Rizzo portarono all’affondamento di due corazzate austriache. Ciano divenne presidente della Camera e poi ministro delle Comunicazioni. Suo figlio Galezzo sposò Edda, figlia di Benito Mussolini, e divenne uno dei più importanti esponenti del fascismo. Dopo la beffa di Buccari, D’Annunzio si diede all’aviazione e nell’agosto 1918 volò sopra Vienna, facendo cadere sulla città dei volantini. Anche in questo caso scrisse lui i messaggi, ma un giornalista ne scrisse di altri: quelli di D’Annunzio erano considerati troppo complicati e praticamente intraducibili in tedesco. Fu ovviamente D’Annunzio, nel 1918, a raccontare per primo in un libro “la beffa di Buccari”.

La Prima guerra mondiale era comunque entrata nella sua fase finale: nel 1918 ci fu la battaglia di Vittorio Veneto, l’ultimo scontro armato tra l’Italia e l’Impero austroungarico. Il 3 novembre 1918 Impero austroungarico e Italia (che era alleata con la Triplice Intesa: il Regno Unito, la Francia e la Russia) firmarono a Padova il cosiddetto armistizio di Villa Giusti, col quale in Italia si fa coincidere la fine della Prima guerra mondiale.

venerdì 8 settembre 2017

Appello al Mondo Civilizzato degli intellettuali tedeschi (1914)

Nella prima, come nella seconda, la civiltà germanica venne attaccata x prima per costringerla ad entrare in conflitto.
#lastoriaèscrittadaivincitori

Appello al Mondo Civilizzato degli intellettuali tedeschi (1914)

In qualità di rappresentanti della scienza e dell'arte tedesche davanti all'intero mondo civilizzato, leviamo una protesta contro le menzogne e le calunnie per mezzo delle quali i nostri nemici tentato di insozzare la causa della Germania nella battaglia per la sopravvivenza alla quale siamo stati costretti. L'implacabile verità dei fatti ha smentito le voci diffuse a proposito di sconfitte che sarebbero state inflitte alla Germania. È quindi stato necessario trovare calunnie d'altro genere, e c'è chi si è impegnato con zelo per falsare la natura dei fatti onde rendere sospetta la nostra condotta. Contro questa manipolazione dei fatti e contro simili sospetti noi leviamo alta la nostra voce: essa sarà messaggera della verità.

1. Non è vero che la Germania è responsabile dello scoppio della guerra. Né la nazione, né il governo, né l'Imperatore hanno mai desiderato il conflitto. Da parte tedesca è stato fatto l'impossibile per evitarlo. Le prove autentiche di ciò sono sotto gli occhi del mondo. Spesso, durante i suoi ventisei anni di regno, Guglielmo II si è affermato come protettore della pace universale; spesso i nostri stessi avversari gli hanno riconosciuto questo merito. Ebbene sì, questo stesso imperatore è stato per molto tempo oggetto del sarcasmo di coloro che adesso osano chiamarlo Attila proprio a causa del suo incrollabile amore per la pace. Infine, quando l'attacco che si tramava lungo le nostre frontiere si è riversato su di noi da tre parti contemporaneamente, la nazione si è immediatamente levata con un sol uomo.

2. Non è vero che abbiamo violato in modo criminale la neutralità del Belgio. È assodato che la Francia e l'Inghilterra avevano deciso di violarla, ed è altresì assodato che il Belgio era consenziente e coinvolto nel complotto: se non avessimo preso adeguate contromisure, saremmo stati annientati.

3. Non è vero che anche un solo cittadino belga abbia rischiato la vita o i beni a causa dei nostri soldati, salvo nei casi in cui si è stati costretti ad applicare il triste principio della legittima difesa. Infatti, la popolazione, pervicacemente e disprezzando i nostri avvertimenti, ha continuato a sparare sui soldati tedeschi a tradimento, mutilando i feriti e massacrando i medici nell'esercizio della loro caritatevole professione. Passare sotto silenzio le atrocità di questi assassini e rappresentare la giusta punizione che hanno ricevuto come un crimine della nazione tedesca denota un comportamento menzognero e ignobile.

4. Non è vero che la cieca rabbia delle nostre truppe ha distrutto Lovanio. Dal momento che la popolazione, furiosa, si scagliava proditoriamente contro i nostri quartieri, i nostri soldati sono stati obbligati a rispondere con rappresaglie, prendendo a cannonate, a malincuore, un quartiere della città. La maggior parte di Lovanio è stata salvata. Il celebre municipio è del tutto intatto. I nostri soldati hanno rischiato la vita per difenderlo dalle fiamme. Se in questa terribile vicenda alcune opera d'arte fossero andate perdute e altre dovessero essere distrutte, ogni tedesco ne sarebbe grandemente addolorato, ma sia chiaro che benché noi non siamo secondi a nessuno per ciò che riguarda l'amore dell'arte, rifiutiamo categoricamente di pagare la conservazione di un'opera d'arte con una sconfitta tedesca.

5. Non è vero che il modo in cui noi conduciamo una guerra è in contraddizione con i diritti umani. La nostra guerra non si accompagna ad alcun atto di indisciplina o di crudeltà. In compenso, a Est la terra è bagnata del sangue delle donne e dei bambini massacrati dalle orde russe, e a Ovest le pallottole dum-dum squarciano il torace dei nostri soldati. Non possono minimamente ergersi a difensori della civiltà europea coloro che si sono alleati con i russi e con i serbi e che aizzano contro la nostra razza bianca un branco di negri e di mongoli, spettacolo oltraggioso che è sotto gli occhi del mondo.

6. Non è vero che l'attacco sferrato contro il nostro presunto militarismo non sia in realtà un attacco sferrato contro la nostra civiltà, come i nostri nemici vorrebbero ipocritamente far credere. Senza il militarismo, la civiltà tedesca sarebbe ormai sparita da tempo dalla faccia della terra. Il militarismo, frutto della nostra civiltà, è nato per difenderla, in un paese, il nostro, che come nessun altro è stato sottoposto per secolo al saccheggio e alle invasioni. L'esercito tedesco e la nazione tedesca sono una cosa sola. Questo sentimento fa oggi di settanta milioni di tedeschi altrettanti fratelli, senza distinzione di educazione, classe o partito.

Non possiamo strappare dalle mani dei nostri avversari l'arma potente della menzogna, ma possiamo gridare al mondo che essi commettono contro di noi un delitto di falsa testimonianza. A voi che ci conoscete, a voi che fin qui, assieme a noi, avete protetto i più nobili beni dell'umanità, noi in fondo come un popolo civilizzato, a cui l'eredità di un Goethe, di un Beethoven e di un Kant non è meno sacra della famiglia e della patria. Ne risponderemo davanti a voi sul nostro nome e sul nostro onore.

Adolf von Baeyer
Peter Behrens
Emil Adolf von Behring
Wilhelm von Bode
Aloïs Brandl
Lujo Brentano
Justus Brinkmann
Johannes Conrad
Franz von Defregger
Richard Dehmel
Adolf Deissmann
Wilhelm Dörpfeld
Friedrich von Duhn
Paul Ehrlich
Albert Ehrard
Karl Engler
Gerhart Esser
Rudolf Christoph Eucken
Herbert Eulenberg
Henrich Finke
Hermann Emil Fischer
Wilhelm Julius Foerster
Ludwig Fulda
Eduard Gebhardt
Jan Jakob Maria de Groot
Fritz Haber
Ernst Haeckel
Max Halbe
Adolf von Harnack
Gerhart Hauptmann
Karl Hauptmann
Gustav Hellmann
Wilhelm Herrmann
Andreas Heusler
Adolf von Hildebrand
Ludwig Hoffmann
Engelbert Humperdinck
Leopold Graf von Kalckreuth
Arthur Kampf
Fritz-August von Kaulbach
Theodor Kipp
Felix Klein
Max Klinger
Aloïs Knoepfler
Anton Koch
Paul Laband
Karl Lamprecht
Philipp von Lenard
Maximilien Lenz
Max Liebermann
Franz von Liszt
Karl Ludwig Manzel
Joseph Mausbach
Georg von Mayr
Sebastian Merkle
Eduard Meyer
Heinrich Morf
Friedrich Naumann
Albert Neisser
Walther Hermann Nernst
Wilhelm Ostwald
Bruno Paul
Max Planck
Albert Plehn
Georg Reicke
Max Reinhardt
Alois Riehl
Karl Robert
Wilhelm Roentgen
Max Rubner
Fritz Schaper
Adolf von Schlatter
August Shmidlin
Gustav von Schmoller
Reinhold Seeberg
Martin Spahn
Franz von Stuck
Hermann Sudermann
Hans Thoma
Wilhelm Trübner
Karl Vollmöller
Richard Voss
Karl Vossler
Siegfried Wagner
Wilhelm Waldeyer
August von Wassermann
Felix Weingartner
Theodor Wiegand
Wilhelm Wien
Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff
Richard Willstätter
Wilhelm Windelband
Wilhelm Wundt

Fascisti come tanti: Federico Florio, l’ardito toscano che accettava qualunque scontro

“A Prato, fin dall’anteguerra, i semi di zucca e i lupini costavano assai più delle legnate: Tamburini ed io ne sappiamo qualcosa. Tutte le domeniche erano botte da orbi: Tamburini era più matto di me, e io più di lui, ma, da buoni amici, s’andava d’accordo nel buscarle insieme dai piazzaioli di Vaiano di Campi e di Galciana, che si sfogavano sulle nostre spalle contro la guerra di Libia e la festa dello Statuto.
Tamburini, diventato poi il capo del Fascio di Firenze, si è vendicato di quelle legnate pratesi spianando il gobbo ai fiorentini: e anch’io mi sono ripagato a usura come meglio ho potuto.”
Questo, se dobbiamo credere a Malaparte, il clima che si respirava a Prato prima del conflitto. Dopo, quando cominciarono a tornare a casa ex Arditi e Legionari fiumani, la situazione non poteva che peggiorare.
Tra essi, Federico Guglielmo Florio, che era stato volontario di guerra e poi Comandante di Plotone Mitraglieri del 13° Reparto d’Assalto, e, infine, tra i pochi presenti a Fiume ininterrottamente, dalla “Marcia di Ronchi” al “Natale di sangue”. Conosciuto da d’Annunzio e da Mussolini, perché il Comandante lo invierà, a novembre del 1919, con una quarantina di suoi Arditi, a Milano, per proteggere la campagna elettorale fascista e fare la guardia al Popolo d’Italia.
http://www.ilprimatonazionale.it/approfondimenti/fascisti-come-tanti-federico-guglielmo-florio-69366/

28.07.2017 corsa 7 km con zaino per il Casale degli Arditi

Sezione T.M.I. Tradizione Militare Italiana presente all'alzabandiera per il centenario Fondazione Reparti d'Assalto Arditi d'Italia presso il Casale degli Arditi di Scricca di Manzano.

Dove sono finiti i gloriosi Ariani quali i 300 Spartani appunto, i romani, i celti, i vichinghi, i barbari? dopo la sconfitta degli ultimi baluardi fascisti e nazionalsocialisti

Dove sono finiti i gloriosi Ariani quali i 300 Spartani appunto, i romani, i celti, i vichinghi, i barbari? dopo la sconfitta degli ultimi baluardi fascisti e nazionalsocialisti, gli europei sono stati lentamente trasformati in OGM, come tutto il resto, sradicando dal loro DNA la ConsapeVOLEZZA della Vita, del Rispetto, del Bene e del Male, e della Empatia...

"Niccolò Ciatti. Erano 300, italiani. Ed erano 300 vigliacchi
ROMA – Niccolò Ciatti, erano 300 quelli che disposti su due ordinate file fanno ala e pubblico al suo omicidio. Erano 300 quelli che il video registrato dalle telecamere inquadra in sequenza, ordinati in lunghe file, come ai botteghini di uno spettacolo. Erano 300, circa, almeno, più o meno. Ed erano in gran parte italiani. Come ha poi raccontato uno egli amici di Niccolò che era lì con lui quella alla discoteca, almeno su quel piano della maxi discoteca, era “una serata italiana”.

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Non hanno fatto nulla per fermare il pestaggio e l’omicidio. Nulla, non un passo o un gesto. E questo si vede, di questo si è scritto e detto. Si è detto che sono rimasti lì, impotenti. E si è giustamente detto e scritto anche che altro che impotenti.


Potevano, si è scritto, ma per scelta più o meno conscia la loro “naturale” reazione è stata impugnare uno smartphone e inquadrare, ritrarre la scena. Restando immobili a filmare. Filmare, si è visto e scritto, è stata la misura della loro umanità. E infatti, ordinati e compatti, filmano. Filmano prima ancora che guardare. Filmare più che guardare, è stato scritto, è la nuova cifra antropologica.

E’ stato poi visto e giustamente scritto che stanno tutti, disposti su due ali, a formare il geometricamente perfetto stadio e spalto. Stanno lì a guardare l’omicidio in diretta stando a due metri: non troppo lontano perché possano non vedere da vicino, non troppo vicino perché possano essere toccati d quanto accade.

I 300 o giù di lì sono la folla che si ferma sul ciglio della strada ad osservare l’incidente stradale e , possibilmente, anche i feriti e i morti se sono ancora sull’asfalto? No, non sono questa comunissima vertigine dell’animo umano. Non illudiamoci, quei trecento sono un’altra cosa.

Sono quei 300, è stato scritto, il prodotto, il risultato, l’esemplificazione del contemporaneo modo di percepire il reale e di fruire dell’esperienza empirica. Un reale che è sempre mediato dal comunicato, oramai quasi mai vissuto direttamente (vedi turisti o tifosi che non guardano il Gran Canyon o il gol con gli occhi ma solo attraverso l’obiettivo). Di qui la capacità di percepire il reale (il pestaggio mortale) solo come spettacolo e solo come spettatori. Può darsi, forse, anche. Ma non facciamola troppo complessa e difficile.

Quei 300 giovani italiani che si dispongono in ordinate e immobile file di spettatori mentre ammazzano uno di loro a calci e pugni, quei 300 giovani italiani che impugnano il telefonino mentre uno di loro è a terra e sta per ricevere il colpo mortale, quei 300 giovani italiani che si danno una barriera immaginaria che impedisce loro di varcare la distanza di due metri dal macello di uno di loro, quei 300 che non fanno un passo, che non sentono dentro di loro nulla che li obblighi e irresistibilmente li spinga a mettersi in mezzo sono soprattutto e semplicemente 300 vigliacchi.

Da dove nasca e in quali radici affondi la loro viltà, se sia particolarmente coltivata e irrorata oggi come o più di ieri è interessante questione sociologica e culturale. Interessante, ma non dirimente questione. Non ci sono ceceno esperti di arti marziali che tengano o ideologia e prassi dello smartphone o fenomenologia della conoscenza via social che facciano da convincenti alibi.

In 300, se massacrano di botte uno dei tuoi, se ci mettono più di dieci secondi a farlo, se in 300 si ha il tempo di mettersi in fila e cerchio a guardare, se non ci si mette in mezzo in 300 contro tre, allora si è vigliacchi. Chiunque sia stato adolescente e giovane, chiunque abbia visto o sia stato coinvolto in una lite, in una rissa lo sa che è così e non altrimenti. Non raccontiamici bugie: quei 300 erano giovani italiani, ed eran vigliacchi
https://youtu.be/rb7CASKO4J0

Cento anni fa la vittoria della Bainsizza: la più grande battaglia (dimenticata) della storia italiana

4 settembre 1917, la battaglia della Bainsizza, combattuta tra l’agosto ed il settembre 1917 è totalmente dimenticata. Eppure si tratta del più grande sforzo militare che abbia mai viste coinvolte truppe italiane in tremila anni di storia: oltre un milione di soldati italiani. Il Comando Supremo italiano con la battaglia della Bainsizza (o XI battaglia dell’Isonzo) riuscì ad ottenere i maggiori guadagni territoriali raggiunti da un esercito alleato sul fronte occidentale sin dal 1914. Come scrive la relazione ufficiale italiana uscita nel 1967, fu: “Una delle più grandiose operazioni di tutta la guerra, una delle più brillanti offensive svolte sull’intero scacchiere europeo, una delle maggiori vittorie- militarmente, forse, la maggiore- del nostro Esercito”. 

Strada delle 52 gallerie: il percorso considerato più pericoloso al mondo è in Italia

Tutto questo avveniva alla zona nord del Pasubio, lontano dagli sguardi dei nemici. Oggi la strada viene definita come un vero e proprio capolavoro di ingegneria militare ma anche di arditezza, considerando che venne realizzata in soli dieci mesi. Lo sanno bene le moltissime persone che ogni anno la percorrono. Oggi la strada è costellata da cartelli didattici che ne spiegano la storia e i particolari costruttivi.

http://www.notizie.it/strada-delle-52-gallerie-percorso-pericoloso/